Con i suoi Venti pezzi per pianoforte (1938), il compositore ungherese Sándor Veress (1907-92) ha voluto creare una raccolta di miniature pianistiche su melodie popolari destinate sia a un uso concertistico, sia all’attività didattica. In ogni branovengono rielaborati uno o più canti e danze provenienti da diverse aree geografiche di lingua ungherese, che si susseguono in base a una sapiente alternanza di carattere, scrittura musicale, difficoltà esecutiva. Viene così offerta una variegatapanoramica della musica popolare di questa nazionalità: a canti di contenuto patetico o addirittura drammatico se ne affiancano di più leggeri e giocosi, avvicendandosi a danze di natura differente, tra cui spicca come un blocco omogeneo il gruppodelle Csárdás, tipica danza da locanda utilizzata anche da Liszt.I Venti pezzi per pianoforte rappresentano il coronamento della ricca attività etnomusicologica condotta da Veress tra gli anni ’30 e ‘40, sia lavorando come assistente di László Lajtha e di Béla Bartók, sia svolgendo ricerca sul campo in Ungheria enei paesi limitrofi. Per il compositore, questa raccolta doveva svolgere un fondamentale ruolo di mediazione tra il folklore e la musica “colta” occidentale, in maniera da rivitalizzarne il linguaggio dall’interno, senza gli astrattismi dellesperimentazioni allora condotte in Europa.Nel corso della sua vita Veress non riuscì mai a pubblicare la versione integrale dei Venti pezzi per pianoforte, mentre ne fece uscire sul mercato alcune selezioni, lasciando del tutto inediti due brani. La presente edizione critica a cura di GiadaViviani ricostruisce il testo completo dei Venti pezzi per pianoforte in base alle fonti manoscritte conservate presso la Fondazione Paul Sacher di Basilea: gli spartiti musicali, corredati dalla diteggiatura di Jakub Tchorzewski, sono accompagnatida un saggio introduttivo sul contesto di creazione della raccolta, dalla descrizione dello stato delle fonti e da un dettagliato apparato critico delle varianti testuali.